“Iniziativa per un’immigrazione moderata”, il titolo come sempre è accattivante, chi non sarebbe favorevole a qualcosa di moderato? Peccato che la realtà è un’altra in quanto questa iniziativa vuole di fatto porre un taglio netto delle relazioni tra la Svizzera e l’Unione Europea. Sappiamo tutti che gli accordi più importanti, i bilaterali I, sono legati dalla “clausola ghigliottina” che prevede che questi siano collegati tra loro: in due parole se ne salta uno possono essere annullati tutti gli altri da una delle due parti. Un rischio troppo grosso e una mossa poco lungimirante per il nostro Paese. Tra gli insegnamenti del tragico periodo di pandemia che stiamo vivendo vi è proprio quello che nessuno può affrontare le grandi sfide da solo. È vero all’inizio gli Stati in preda alla paura si sono chiusi su loro stessi, ma ben presto hanno capito che la cooperazione è fondamentale e che nella società di oggi è impossibile prescinderne.
Ora se in tempi normali dobbiamo avere buone relazioni con l’Unione Europea, in tempi difficili (come quelli che stiamo affrontando) dobbiamo invece averne di ottime. Possiamo partire da questa semplice frase per fare una riflessione sulle nostre relazioni con il nostro grande vicino. Non si tratta di essere europeisti o meno, ma realisti: la Svizzera non è un’isola ma si trova esattamente al centro del continente europeo e la gran parte delle nostre relazioni commerciali, culturali, nell’ambito della sicurezza o della ricerca (per citare alcuni campi) si sviluppano con questi Stati. L’arte sta nel mantenere quel sottile equilibrio dinamico, perché è impensabile che col tempo le situazioni non cambino, nel quale la Svizzera sappia ritagliarsi il suo giusto spazio consapevoli che le buone relazioni sono negli interessi di entrambi. Pensiamo ad esempio a quanto sia importante, per mantenere i posti di lavoro sul nostro territorio, che le imprese nel nostro paese (e non mi sto riferendo ai famigerati “capannoni” evocati in maniera caricaturale) possano avere delle condizioni di accesso al mercato europeo come si trovassero in un paese dell’UE. Credere che uscire da questo meccanismo non comporti un prezzo, alto, da pagare è illusori. Il Regno Unito, dopo un periodo di orgoglio nostalgico, se ne sta accorgendo, e siamo solo all’inizio del processo di uscita. Anche sostenere che si possa tornare al regime precedente è una pia illusione, oltre al fatto che anche solo pensare di tornare ai periodi in cui c’erano gli stagionali non farebbe sicuramente onore a un Paese che si vuol definire moderno e socialmente avanzato. Beninteso nessuno dice che lo stato attuale sia perfetto e che non si possa, e si debbano, correggere delle storture (che in Ticino conosciamo bene). Ma sarebbe come dire che siccome oggi ci sono alcuni problemi legati alla rivoluzione tecnologica in corso in Svizzera si dovrebbe tornare come eravamo nel 2002: niente smartphone, niente internet diffuso, niente progresso tecnologico digitale. Certo si viveva anche allora, ma in un mondo che cambia, sempre più velocemente, tornare indietro non è la soluzione. Andare avanti invece cercando veramente di correggere i problemi sì. È questo che dobbiamo fare e per questo non serve un’iniziativa che creerebbe ben più problemi di quelli che si promette di risolvere.
Alex Farinelli, Consigliere nazionale