I recenti campionati del mondo, che si chiuderanno questo fine settimana, sono stati ancora una volta l’occasione per discutere, oltre che di calcio, anche di tutta una serie di temi che scaldano l’opinione pubblica. Lascio da parte le considerazioni sportive, per il quale vi sono persone decisamente più competenti del sottoscritto, e mi limito ad una riflessione. Indubbiamente il tema principe, cavalcato anche in maniera un po’ grottesca da alcuni, è stato quello del senso di appartenenza, e cioè di quanto una persona possa (o debba) sentirsi integrata, rispettivamente quante nazionalità possa (o debba) avere, per poter militare con successo in una nazionale. Non entro nel merito delle varie polemiche perché tutto è opinabile, mi limito però ad una piccola constatazione: le due nazionali in finale, Francia e Croazia, ci mostrano che la questione dei passaporti e delle origini proprio non ci azzecca per nulla con i risultati. In effetti se è vero che la Francia è una nazionale infarcita di giocatori che provengono da Paesi che propriamente Francia non sono (e nemmeno Europa), è altrettanto vero all’opposto che la Croazia ha giocatori tutti Balcanici (molti con più di un passaporto) che fondamentalmente in quel Paese non ci vivono e non ci giocano. Le ragioni del successo sono quindi forse altre, ad esempio saper far crescere i talenti e riuscire ad instillare nei giocatori la sana voglia, e fame, di vincere: se l’obiettivo è far meglio sarebbe bene concentrarsi su queste invece che sulle polemiche politico-nazionalistiche che non portano proprio a nulla, se non a inutili tensioni. Fuori dalla questione c’è invece un aspetto che tengo, quello sì, veramente a sottolineare. Da questi mondiali tutti abbiamo qualcosa da imparare e da non dimenticare: l’atteggiamento e l’educazione dei tifosi Giapponesi che al termine delle partite, anche nell’amichevole di Lugano, quindi non sotto i riflettori del mondo, hanno riordinato e ripulito gli spalti. Un modo di porsi, di comportarsi e di rispettare (cose e persone) che sarebbe bello poter vedere anche alle nostre latitudini. Perché la civiltà e l’educazione non hanno passaporto, ma sono decisamente la più bella delle bandiere.
Corriere del Ticino, 12 luglio 2018